fuoridalpalazzo

07 maggio 2006

Io vittima del bancomat

Sono una vittima del black out dei bancomat. Tutto è cominciato l'altro pomeriggio con una telefonata di mia moglie che mi chiedeva aiuto: "Mi puoi portare cento euro per favore? Devo pagare il conto e il mio bancomat non funziona, ho già provato in quattro banche". Ci mancava solo questa. Ero già nervoso e sono partito come una furia - sebbene in bicicletta - imprecando contro le donne che non sanno usare il bancomat, che non ricordano i numeri segreti, che infilano la tessera alla rovescia, che non si ricordano quando è scaduta, che lasciano andare il conto in rosso e via dicendo.
Quattro banche, figuriamoci... E poi quanto sono fiscali queste donne, che tengono in ostaggio altre donne per un problema al bancomat. Se non ci fossi io.
Per portare cento euro bisogna prima di tutto averli e nel mio portafoglio ce n'erano appena cinque, altri due e mezzo nelle tasche, ma la città è piena di banche, siamo la capitale italiana degli sportelli, e avevo solo l'imbarazzo della scelta. Alla prima banca (rurale di piazza Fiera) c'era un cartello che mi ha spedito nella sede nuova dall'altra parte della strada. Con grande sangue freddo ho infilato la mia tessera scintillante nello sportello, ho digitato il codice segreto (che ci vuole?) e ho atteso la risposta che però non è arrivata. Invece mi hanno sputato fuori la tessera suggerendomi di contattare il mio istituto di credito. Piccolo bagno di umiltà, anche perché la mia banca è un sito internet, a volte una voce, di solito molto gentile ma pur sempre una voce, da cui non è semplice tirare fuori banconote se la tessera non funziona.
Poco più là ho visto il simbolo della Volksbank, forti questi tedeschi, sempre affidabili, e mi sono precipitato al loro bancomat che è installato dentro l'edificio proprio vicino allo sportello dove c'è l'impiegato in carne e ossa: lo fanno apposta per conquistare nuovi clienti. Anche lì tessera, codice segreto, breve attesa, tanti saluti ma niente soldi. La signorina - che non era tedesca, nemmeno da lontano - mi ha consigliato di contattare la mia banca con un tono che non mi è piaciuto: che hanno tutti da guardarmi come un pezzente? Giusto per darmi un tono - e per togliermi il dubbio che ormai mi era venuto - ho preso il telefonino e con due mosse sui tasti ho verificato che i soldi sul conto c'erano eccome. Il problema era tirarli fuori.
Alla Popolare di Verona stessa scena. Niente soldi nemmeno all'Unicredit e nessuno che sapesse darmi una spiegazione. E fanno quattro: possono bastare, mi sono detto. Stringendo la mia inutile tessera in mano, senza più furia, mi sentivo come quel tale che quando salta la corrente corre all'interruttore per riaccendere la luce. Potevo tornare a casa e prendere un assegno, ma l'ultima volta che ho provato a cambiarne uno c'è mancato poco che mi chiedessero un certificato antimafia. Ho lasciato perdere.
Stavo lì nella strada come quelli che chiedono un euro per la corriera (e poi si infilano in un bar), quando ho visto il mio collega G. avanzare con il suo vestito nuovo e una ventiquattrore fiammante che, per quanto ne sapevo io poteva pure essere piena di denaro: senti un po' - gli ho detto, rinunciando a rapinarlo - non è che mi tiri fuori 100 euro che non mi va il bancomat? Mi ha guardato con una faccia strana - ancora quella faccia - e ha infilato nello sportello la tessera pacchiana della sua piccola banca, davvero una banchetta, non ci avrei scommesso dieci euro (anche perché in quel momento non li avevo). Trenta secondi dopo, fischiettando con quell'espressione odiosa, mi ha consegnato i soldi in mano: il mio funziona benissimo, ha detto. Inutile discutere: con le orecchie basse, i cento euro in tasca e molte certezze in meno, sono corso poco lontano a liberare l'ostaggio che era ancora prigioniero.