C'era una volta l'autostop
C'era una volta l'autostop, l'attività di chi alza il pollice a lato della strada per chiedere un passaggio. Ci sono tre motivi per fare l'autostop: necessità, voglia d'avventura o sensibilità ambientalista. Poiché un'auto ce l'ho e le avventure un po' mi spaventano è sempre stato per evitare di muovere invano una vettura che mi sono trovato sul marciapiede, con il pollice fuori, sfidando le frecciate di familiari e amici che consideravano il gesto poco dignitoso.
A salire sulle auto altrui si imparano tante cose. Avevo sedici anni quando scoprii che c'è gente che va in giro apposta per dare passaggi ai ragazzini. E non è questione di altruismo. Ne avevo venti quando - sul sedile posteriore di una Mercedes, con un grosso pastore maremmano che mi annusava le parti intime, tale Max - mi resi conto che per i proprietari di cani contano più i quattrozampe dei bipedi che chiedono un passaggio. Ne avrò avuti ventidue quando imparai, in anticipo sui tempi, che l'olfatto dei genitori di un bambino di due anni si disattiva per consentire il viaggio anche quando il piccolo ha il pannolino pieno. Il mio invece funzionava benissimo. A ventitré anni, all'interno di un grosso fuoristrada, mi stupii di come il silenzio di una coppia sposata possa diventare, chilometro dopo chilometro, più violento di una sfuriata.
Ma il passaggio che mai dimenticherò lo chiesi - e ottenni - quando ormai avevo trent'anni. Ero a Pergine, sulla statale della Valsugana, vicino all'officina di un mago dei motori a cui avevo affidato la mia motocicletta. Stavo lì con il casco in mano e il pollice destro fuori (già da qualche decina di minuti a dire la verità) quando sentii in lontananza il rombo di un motore. Mantenni il dito esposto, quasi per distrazione, mentre il pilota scalava le marce e il frastuono in avvicinamento diminuiva: era una moto da corsa.
«Dio mio fa che non si fermi» pensai. Si fermò. Dagli occhi spiritati che mi guardavano sotto la visiera scura del casco intesi che il centauro era un ragazzo: «Dove vai?» mi chiese. Volevo dire Berlino e invece mi venne fuori Trento. «Metti il casco e salta su» mi ordinò, indicandomi uno spoiler in plastica rossa che copriva quel quadratino che una volta era la sella. Inutile discutere: siamo o non siamo motociclisti? Mi arrampicai lì dietro e mi aggrappai in qualche modo al serbatoio: non entro nei dettagli, chi ha moto come quella conosce la sofferenza (nel mio caso anche l'imbarazzo) a cui è sottoposto il passeggero. Per farla breve - e fu breve veramente - partimmo a razzo verso il capoluogo. Voleva insegnarmi come si guidano le moto. Arrivati alla galleria dei Crozi mi sentii salvo perché una corsia era chiusa e le macchine viaggiavano lente in colonna. Niente da fare, Valentino Rossi fece sbandare il bolide sulla destra e infilò l'area del cantiere come farebbe l'autista di un autobus nella sua corsia preferenziale. Due minuti dopo eravamo alle porte della città. Indicai una piazzola distante cinque chilometri da casa mia: «Fermo qui, sono arrivato». Lo guardai partire impennando, con una consapevolezza nuova: il vero autostoppista è quello che sa quand'è il momento di ritirare il pollice.
Con gli anni i tempi d'attesa sul marciapiede si sono allungati: c'è qualcosa di sospetto in un uomo maturo fermo a lato della strada. Così invece di chiedere passaggi ho cominciato a darli. Le occasioni sono poche, perché gli autostoppisti sono diventati una rarità (colpa del benessere ma anche di certi film e leggende che non aiutano ad avere fiducia nel prossimo) ma io comunque seleziono: carico a bordo quelli che penso mi possano raccontare qualcosa che non so, per lo più ragazze perché - sono convinto - chiacchierano di più. Così l'altro giorno mi sono fermato nel piazzale dove c'era una giovane con lo zaino: «Sali pure» le ho detto. Doveva tornare a casa, in un paese dieci chilometri più avanti. Mi chiedevo di cosa avremmo potuto parlare in dieci minuti di strada quando sentii un brusio intermittente alla mia destra, proveniente dalle cuffiette che si era infilata nelle orecchie.
C'era una volta l'autostop.
A salire sulle auto altrui si imparano tante cose. Avevo sedici anni quando scoprii che c'è gente che va in giro apposta per dare passaggi ai ragazzini. E non è questione di altruismo. Ne avevo venti quando - sul sedile posteriore di una Mercedes, con un grosso pastore maremmano che mi annusava le parti intime, tale Max - mi resi conto che per i proprietari di cani contano più i quattrozampe dei bipedi che chiedono un passaggio. Ne avrò avuti ventidue quando imparai, in anticipo sui tempi, che l'olfatto dei genitori di un bambino di due anni si disattiva per consentire il viaggio anche quando il piccolo ha il pannolino pieno. Il mio invece funzionava benissimo. A ventitré anni, all'interno di un grosso fuoristrada, mi stupii di come il silenzio di una coppia sposata possa diventare, chilometro dopo chilometro, più violento di una sfuriata.
Ma il passaggio che mai dimenticherò lo chiesi - e ottenni - quando ormai avevo trent'anni. Ero a Pergine, sulla statale della Valsugana, vicino all'officina di un mago dei motori a cui avevo affidato la mia motocicletta. Stavo lì con il casco in mano e il pollice destro fuori (già da qualche decina di minuti a dire la verità) quando sentii in lontananza il rombo di un motore. Mantenni il dito esposto, quasi per distrazione, mentre il pilota scalava le marce e il frastuono in avvicinamento diminuiva: era una moto da corsa.
«Dio mio fa che non si fermi» pensai. Si fermò. Dagli occhi spiritati che mi guardavano sotto la visiera scura del casco intesi che il centauro era un ragazzo: «Dove vai?» mi chiese. Volevo dire Berlino e invece mi venne fuori Trento. «Metti il casco e salta su» mi ordinò, indicandomi uno spoiler in plastica rossa che copriva quel quadratino che una volta era la sella. Inutile discutere: siamo o non siamo motociclisti? Mi arrampicai lì dietro e mi aggrappai in qualche modo al serbatoio: non entro nei dettagli, chi ha moto come quella conosce la sofferenza (nel mio caso anche l'imbarazzo) a cui è sottoposto il passeggero. Per farla breve - e fu breve veramente - partimmo a razzo verso il capoluogo. Voleva insegnarmi come si guidano le moto. Arrivati alla galleria dei Crozi mi sentii salvo perché una corsia era chiusa e le macchine viaggiavano lente in colonna. Niente da fare, Valentino Rossi fece sbandare il bolide sulla destra e infilò l'area del cantiere come farebbe l'autista di un autobus nella sua corsia preferenziale. Due minuti dopo eravamo alle porte della città. Indicai una piazzola distante cinque chilometri da casa mia: «Fermo qui, sono arrivato». Lo guardai partire impennando, con una consapevolezza nuova: il vero autostoppista è quello che sa quand'è il momento di ritirare il pollice.
Con gli anni i tempi d'attesa sul marciapiede si sono allungati: c'è qualcosa di sospetto in un uomo maturo fermo a lato della strada. Così invece di chiedere passaggi ho cominciato a darli. Le occasioni sono poche, perché gli autostoppisti sono diventati una rarità (colpa del benessere ma anche di certi film e leggende che non aiutano ad avere fiducia nel prossimo) ma io comunque seleziono: carico a bordo quelli che penso mi possano raccontare qualcosa che non so, per lo più ragazze perché - sono convinto - chiacchierano di più. Così l'altro giorno mi sono fermato nel piazzale dove c'era una giovane con lo zaino: «Sali pure» le ho detto. Doveva tornare a casa, in un paese dieci chilometri più avanti. Mi chiedevo di cosa avremmo potuto parlare in dieci minuti di strada quando sentii un brusio intermittente alla mia destra, proveniente dalle cuffiette che si era infilata nelle orecchie.
C'era una volta l'autostop.
Etichette: story-post
8 Comments:
Non ci sono più i giovani e gli adulti di una volta, ma tutto sommato sono peggio gli adulti di adesso. Buon viaggio, buone vacanze
By gallo, at 13/8/07 19:04
Anch'io anni fa (troppi anni fa) ho fatto l'autostop. Fu la prima ed ultima volta, eravamo in tre amiche però. Trento-Varese e ritorno. Fu un'esperienza bellissima. Chissà poi perchè non l'ho più ripetuta, mah...
By dupont, at 13/8/07 21:47
è vero che non ci sono più i giovani di una volta!!!
Il fatto che mi ha convinto di ciò è accaduto quest'inverno.
La macchina di due ragazze ventenni aveva fatto i capricci e infine si era fermata in una buia strada di montagna.
Le scorsi col pollice alzato a qualche centinaio di metri dal punto in cui avevano abbandonato il veicolo, fuori c'era un freddo cane.Abbiamo rallentato, e dissi col garbo che le stellette a volte inducono a usare :
"buonasera signorine, prego salite, siamo venuti a prendervi"
Non l'avessi mai detto!!
Sono rimasto tre minuti a discutere e per convincerle che eravamo la pattuglia che i genitori avevano mandato per raccattarle ho dovuto mostrare tesserini e poi anche documenti miei e dei miei commilitoni .
Ultime parole delle pulzelle
" pensavamo che i tesserini fossero
falsi..."
In effetti molta gente va in giro in tre coi tesserini falsi per le strade deserte di montagna in inverno.
Risposta mentalmente espressa dal sottoscritto " perchè vado sempre in giro disarmato..??"
By Anonimo, at 16/8/07 19:27
marzy sono io qll del commento
By Anonimo, at 16/8/07 19:27
ho sbagliato di nuovo!! qll che ha scritto i due commenti è marzy!!
By Anonimo, at 16/8/07 19:28
Facendo l'autostop (anni e anni fa!) sono andata ovunque...
Da Trento per andare al lago in piazza Venezia a volte c'era la coda e bisognava rispettare l'ordine d'arrivo (ma noi femmine si "beccava" subito)
Adesso non lo fa più nessuno o forse solo gli scouts.
By mariatn, at 20/8/07 11:02
Ah ah ricordo i tempi da studente! Al distributore di piazza Venezia [quello che hanno smantellato] iniziava a esserci la gente col pollice in fuori...su e su sparpagliati per decine di metri
Le ragazze eran favorite ma anche far vedere l'onnipresente Invicta da "studentello anni '90" pagava :)
Ora che sono io il motorizzato, lì non vedo mai nessuno. Ma daltronde viviamo tempi poco socievoli!
By Bersntol, at 23/8/07 21:05
a distanza di più di un anno che hai scritto, io prossimamente partirò all'avventura in autostop, spero e mi auguro di riuscire nell'impresa che mi sono prefissato di girare tutta l'europa, per il momento...:)
nel frattempo ti invito se vuoi a seguirmi nei mie "movimenti"
al seguente indirizzo
http://inautostop.blogspot.com/
la partenza è prevista, causa un piccolo infortunio dopo il 29 maggio
nel fratempo spero di trovare altre persone che come me vogliano affrontare questo viaggio, magari incontrandosi e condividendo passaggi o solo una chiacchierata in compagnia. nel vero spirito di chi ha L'autostop nel sangue :)
By bizzo, at 29/4/08 01:25
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