Un'ora sola (io) vorrei...
C'erano anni in cui l'annuncio di riportare le lancette un'ora indietro evocava notti prolungate (possibilmente tempestose) da godere a letto preferibilmente consapevoli, nel dormiveglia mattutino, del caldo regalo guadagnato in primavera quando quell'ora andò sacrificata.
Di quell'ora ognuno fa ciò che vuole: i bimbi ignari non se n'accorgeranno, i ragazzini apriranno gli occhi di buon mattino e si gireranno (per una volta) dall'altra parte soddisfatti, gli innamorati godranno un'ora d'amore che sembrerà (ahimé) un minuto, i viventi della notte faranno l'alba attraversando in un baleno la notte più lunga dell'anno mentre i macchinisti del treno, fermi sul binario morto di una piccola stazione, priva di bar e servizi igienici, malediranno la sorte che fa cadere sempre il loro nome in quel turno maledetto che prevede sessanta minuti d'attesa prima che venga l'ora di (ri)partire.
Si potrebbe giocare - in una notte come questa - ad inventare la macchina del tempo, togliendo le pile all'orologio per vivere un'ora che in realtà non è mai esistita, magari per trascorrerla al telefono con una persona lontana per ascoltare insieme vecchie canzoni. E invece no: andremo a letto all'ora solita e senza accorgerci che il tempo si è fermato ci sveglieremo all'alba (anzi, un'ora prima) quando il piccolo demonio, che ancora degli orologi non ha capito l'utilità, guarderà dalla finestra e deciderà (come dargli torto?) che giunta è l'ora di giocare perché sono le cinque del mattino (altro che dormire!).
Giochi, sesso, carezze chiacchiere o sane dormite: qualunque uso si faccia di quest'ora regalata, tutti possiamo riflettere sulla possibilità artificiosa - ma reale - di fermare il tempo che fugge implacabile tenendo ferme le lancette con un dito, seduti sulla poltrona più comoda che c'è in soggiorno.
Come quella vecchia di montagna (che poi era mia nonna) abituata a vivere in una stanza dove l'unico cambiamento giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese era l'inclinazione del sole che attraverso le tende misurava tempo e stagioni. Un pomeriggio di novembre - noi soli - ascoltavamo alla televisione notizie di stragi, attentati, crisi economiche e politiche. Lei si alzò dalla sedia, fece due passi malfermi e con un mezzo sorriso tolse la corrente elettrica all'apparecchio: "Spengo la televisione - disse - guardo dalla finestra e so che nulla è mai accaduto".
Di quell'ora ognuno fa ciò che vuole: i bimbi ignari non se n'accorgeranno, i ragazzini apriranno gli occhi di buon mattino e si gireranno (per una volta) dall'altra parte soddisfatti, gli innamorati godranno un'ora d'amore che sembrerà (ahimé) un minuto, i viventi della notte faranno l'alba attraversando in un baleno la notte più lunga dell'anno mentre i macchinisti del treno, fermi sul binario morto di una piccola stazione, priva di bar e servizi igienici, malediranno la sorte che fa cadere sempre il loro nome in quel turno maledetto che prevede sessanta minuti d'attesa prima che venga l'ora di (ri)partire.
Si potrebbe giocare - in una notte come questa - ad inventare la macchina del tempo, togliendo le pile all'orologio per vivere un'ora che in realtà non è mai esistita, magari per trascorrerla al telefono con una persona lontana per ascoltare insieme vecchie canzoni. E invece no: andremo a letto all'ora solita e senza accorgerci che il tempo si è fermato ci sveglieremo all'alba (anzi, un'ora prima) quando il piccolo demonio, che ancora degli orologi non ha capito l'utilità, guarderà dalla finestra e deciderà (come dargli torto?) che giunta è l'ora di giocare perché sono le cinque del mattino (altro che dormire!).
Giochi, sesso, carezze chiacchiere o sane dormite: qualunque uso si faccia di quest'ora regalata, tutti possiamo riflettere sulla possibilità artificiosa - ma reale - di fermare il tempo che fugge implacabile tenendo ferme le lancette con un dito, seduti sulla poltrona più comoda che c'è in soggiorno.
Come quella vecchia di montagna (che poi era mia nonna) abituata a vivere in una stanza dove l'unico cambiamento giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese era l'inclinazione del sole che attraverso le tende misurava tempo e stagioni. Un pomeriggio di novembre - noi soli - ascoltavamo alla televisione notizie di stragi, attentati, crisi economiche e politiche. Lei si alzò dalla sedia, fece due passi malfermi e con un mezzo sorriso tolse la corrente elettrica all'apparecchio: "Spengo la televisione - disse - guardo dalla finestra e so che nulla è mai accaduto".
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1 Comments:
Dovremo farlo un po' tutti. Spegnere per non sapere. Saggio. Che nonna favolosa!
By Paolo Slanzi, at 28/10/07 14:54
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