fuoridalpalazzo

11 gennaio 2007

Cameriere, champagne!

champagne veuve clicquotAmo fare la spesa nel mio supermercato, quello di cui mi illudo di essere - in qualche modo - il proprietario perché ho in tasca la tessera di socio pagata 20 euro. Così, passeggiando tra gli scaffali alla ricerca di qualche offerta, in attesa che al banco del pane chiamassero il mio numero, mi sono imbattuto nello scaffale dei vini e degli alcolici. Lì - ad altezza d'occhio, e vi prego di credermi: non è un fatto casuale - mi ha colpito il cartellino giallo che mi proponeva un grande affare: "Speciale feste, Champagne Veuve Cliquot: 26,80". A parte l'errore di scrittura (bastava copiare l'etichetta) mi ha colpito il prezzo, tanto elevato che mi son detto: ma quando non ci sono le feste quanto costa 'sto champagne? E ho deciso di scoprirlo, armeggiando con quel cartello incollato con forza e infilato sotto una pellicola che non voleva venire via. Tira, molla, tira, sposta, solleva, sfila alla fine ho scoperto che - feste o non feste, con il cartellino giallo o senza - lo Champagne Veuve Clicquot costa sempre 26,80 euro. Scoperta degna di essere documentata con una fotografia. Da ieri ho l'impressione che andare a fare la spesa nel mio supermercato, quello di cui non solo sono il proprietario ma (secondo la pubblicità) sono io stesso, equivalga a fregarmi da solo.

Il post, caro lettore di questo blog, finisce qui. Ma se hai la pazienza e il tempo di seguirmi ancora un po' ti racconterò la storia di quell'arancione che compare un po' più in alto nella foto, sull'etichetta dello champagne francese. Devi sapere che quel colore è tanto importante per la cantina transalpina (più ancora del vino che mettono in bottiglia) che quando i trentini delle cantine Mezzacorona l'hanno usato per l'etichetta dello spumante Rotari è successo il finimondo, con una causa in tribunale. Alla fine - quando hanno capito che affidarsi al giudice era troppo rischioso - si sono messi d'accordo, ma da quel giorno uno dei due vini arriva in enoteca con un'etichetta un po' più sbiadita. Quale dei due? Ci puoi arrivare da solo. Era la fine degli anni Novanta, periodo in cui l'arancione si stava imponendo come colore di gran moda: lo scelsero anche gli esperti marketing di Ing Direct quando si trattò di lanciare niente meno che Conto Arancio. E quella, credimi, è genta che con l'immagine di un prodotto non scherza. Fai caso, caro lettore, all'inflazione di arancione per i prodotti che vorrebbero essere di tendenza. Comincia subito, apri gli occhi e guarda - un po' più in alto - il colore del titolo di questo blog: un bel orange #FF6600. Se sei qui che leggi, forse, è anche grazie a quello. Pensaci.

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09 gennaio 2007

La mia giacca a metà prezzo

Questa è la storia di una scommessa dell'anno scorso che in questo periodo mi piace raccontare. E' la storia di una giacca esposta in bella vista in un grande magazzino, oggetto di una sfida che suonava più o meno così: scommettiamo che me la porto via a metà prezzo?
Era ottobre quando mi sono provato per la prima volta quella giacca: bella era bella, ma non abbastanza da giustificare il costo. Pagando il prezzo intero no, ma a metà si poteva portare via. Come lei ce n'erano tante - di due colori diversi, blu e marrone - allineate una a fianco all'altra sullo scaffale, dalla taglia 48 alla 54. Ho scattato una fotografia con il cellulare per documentare la situazione e mi sono messo il cuore in pace.
Arriva novembre, passo al grande magazzino per altri acquisti e lei è lì, la mia giacca. Verifico la taglia per vedere che sia tutto in regola. Ci sono tutte, scatto un'altra foto e me ne vado.
Dicembre, tempo di acquisti natalizi, nel grande magazzino c'è gran folla. Anche attorno alla mia giacca dove un signore che potrebbe avere la mia taglia ne sta provando una marrone, il colore che vorrei. Sono momenti duri ma decido di giocare pulito e resisto quindi alla tentazione di fissarlo con una faccia strana per convincerlo che la mia giacca gli cade male sulle spalle.
La storia della mia giacca - che rischia di finire nell'armadio di qualcun'altro - si diffonde tra gli amici che mi guardano perplessi: non capiscono che è un gioco e mi invitano a fare "il serio" evitando di perdere tempo nei reparti del negozio per verificare se la giacca è ancora lì. Sono gli stessi che il fine settimana prendono l'auto e vanno a comprare i vestiti fuori provincia dove (dicono) costano molto meno e c'è più assortimento. Mi invitano a fare lo stesso: «Vieni con noi, di giacche come quella ne troverai scaffali interi». Ma io una giacca ce l'ho già: è lì nel mio negozio che mi aspetta, devo solo avere pazienza. Hanno sparato un prezzo troppo alto, quando le quotazioni saranno scese io sarò lì e (zac!) me la porterò a casa contento.
A Capodanno mi preparo, perché so che manca poco. Alla Befana vado a dormire presto e metto la sveglia di buon mattino perché domani sarà il mio giorno. Mi sveglio presto ed esco di casa ottimista perché so che la mia giacca sarà mia. Arrivo all'esterno del grande magazzino e guardo la folla come si guarda la fila di rivali in attesa prima di un concorso per un posto di lavoro. Ma - ahimè - di saldi e svendite non sono un grande esperto e mentre bevo il caffè che ho deciso di concedermi il negozio apre le porte in anticipo e la folla si disperde nei reparti. Corro verso le giacche blu e marroni dove c'è un tipo che ne indossa una dopo l'altra con la moglie che si improvvisa attaccapanni e gliele offre a più riprese. Quella che ha indosso è la mia, la riconoscerei tra mille: gli sta da Dio, ma lui non se ne accorge e la toglie per infilarne un'altra. Mi basta un attimo per farla mia davvero mentre la commessa - stupita - mi dice: «Non la prova nemmeno?». No grazie, sono sicuro che mi starà a pennello. Mi avvio alla cassa dove la pago il 30 per cento in meno, invece del 50: scommessa vinta solo per metà, ma fa lo stesso.

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19 dicembre 2006

Ok, il prezzo è giusto/2

Non so se vi è mai capitato di chiedere aiuto a qualcuno e poi - quasi per educazione, perché è ovvio che il denaro non c'entra ma non si sa mai - domandargli ingenuamente e già con la mente altrove: quant'è? In genere le risposte possibili sono due: c'è chi dice che non se ne parla nemmeno, di non provarci neanche a tirare fuori i soldi e c'è chi invece la spara troppo grossa, chiedendo magari 500 oppure 1.000 euro, come per farvi capire che il suo aiuto è stato così prezioso da essere impagabile e quindi... gratis. La terza ipotesi, quella che vi presentino il conto per una quisquilia del genere, non la prendete nemmeno in considerazione.
Da quando per un piatto di natale mi hanno chiesto 220 euro, su queste cose ci vado cauto e sto attento a non fare brutte figure. Ma quando l'altro giorno il meccanico voleva 25 euro per quattro (4) bulloni da mettere sulle ruote credevo di avere tutto il diritto di rispondere: "Facciamo 250 e non se ne parla più!". Lui però si è fatto serio, ha abbassato gli occhi (perché sa cosa vuol dire "arrivare a fine mese", proprio come noi) e ha ribadito quasi scusandosi: "No, no... sono proprio 25 euro". Allora, in quel preciso istante, è stato finalmente tutto chiaro: ecco perché il giorno prima avevo ritrovato l'auto nel parcheggio, proprio dove l'avevo lasciata, ma con quei quattro buchi, uno per ruota, dove fino a poche ore prima c'erano stati i miei (ex) bulloni.

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05 dicembre 2006

Ok, il prezzo è giusto

C'è un negozio, in città, dove io non posso più entrare. Anzi due, ma andiamo con ordine. Tutto cominciò quattro anni fa quando mi spedirono a comprare un piatto natalizio da collezione: un Royal Copenhagen, mi pare si chiamasse. Così entrai nel negozio, con un biglietto in mano, come i bambini, e dissi: "Un Royal Copenhagen di Natale, per favore".
"Che anno signore?".
"Duemila, grazie" risposi, perché mi avevano istruito bene.
"Benissimo signore" disse lui, con l'aria di chi pensa "lei si che è un intenditore".
Quel piatto era esposto su una parete, assieme a tutti gli altri, ma il commesso si precipitò sul retro e trenta secondi dopo tornò con una scatola di cartone e dentro un piatto azzurro. Lo tirò fuori con movimenti da cerimonia, controllò attentamente che non avesse sbeccature, me lo girò un paio di volte sotto il naso con le sue mani svolazzanti e poi mi disse: "Bene così, signore?".
"Certo - dissi - me lo incarti".
Allora lui prese un foglio della sua carta più pregiata e preparò un pacchetto a regola d'arte, senza dimenticare di infilare all'interno il biglietto da visita del negozio. Quindi tagliò due metri di nastro e cominciò a farli montare con la forbice, come se fosse panna, finché si fermo soddisfatto a rimirare il suo capolavoro.
Furono cinque minuti di calvario perché - senza sapere bene quale - capivo che c'era una nota stonata in quel negozio. Probabilmente io.
Con una goccia di sudore che cominciava a colarmi sulla schiena seguii l'uomo alla cassa e chiesi: "Quant'è?".
"Due e venti, signore" mi rispose impettito.
Quante storie, pensai, tirando fuori dalla tasca con sollievo due euro e venti (giusti) che depositai sul banco. Erano due monete in tutto.
"Ehm, signore, duecentoventi" disse lui, spostando gli occhi altrove.
Allora, mentre la goccia diventava una cascata, replicai: "Signore, forse è meglio che chieda istruzioni al committente. Mi tenga il pacchetto mentre faccio una telefonata". Così, con il telefono (muto) in mano, mi precipitai fuori dal negozio. Ecco perché da allora quando cammino in via Oss Mazzurana tengo sempre il lato sinistro della strada.
P.S. La cronaca nera incombe... il secondo negozio più avanti...

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