La sfida sulla ciclabile
Così l'altro giorno ci siamo dati appuntamento al ponte di San Lorenzo e abbiamo iniziato a pedalare verso sud, ritmo tranquillo, scambiando quattro chiacchiere. Ma poiché siamo tipi competitivi quando abbiamo visto sfilare due magliette colorate ci siamo lanciati cercando di metterci a ruota. Sfruttare la scia senza mai dare il cambio può sembrare un atto vile, ma a volte non c’è altro da fare. L’abbiamo scoperto al ponte di Ravina quando i due davanti hanno cominciato a pestare sui pedali. All’incrocio del ponte di Mattarello abbiamo sperato che mollassero un attimo, ma quelli - un’occhiata a destra e una a sinistra - hanno ripreso più di prima. Al piccolo cantiere di Besenello ero sicuro che quel cartello (biciclette a mano) fosse la nostra salvezza, ma le due locomotive hanno superato la ghiaia come fosse il pavè del nord Europa e hanno accelerato ancora.
Per evitare di prendere vento tenevo la mia ruota a cinque centimetri da quella che mi stava davanti, insomma gli stavo nel culo, la distanza minima che abbia mai tenuto da un fondoschiena maschile, ma non mi formalizzavo pur di restare agganciato al treno. Cercavo - dai pochi indizi disponibili - di capire chi avevamo di fronte: polpacci depilati, forcella posteriore al carbonio, bicicletta molto costosa, abbigliamento con gli sponsor. Signori e signori giù il cappello: stavamo tenendo il ritmo di due professionisti. Gente di classe, tanto che quando ci avvicinavamo a una colonna di turisti li avvisavano con un fischio secco perché si togliessero di mezzo.
Su un lungo rettilineo, incrociando gente che correva come noi sul nastro d’asfalto, ho cercato di distrarre il cuore che mi supplicava di fermarmi, immaginando che accade a due ciclisti che a testa basta si scontrano frontalmente a 40 chilometri all’ora più 40 chilometri all’ora. Senza casco.
Incollato lì dietro mi chiedevo cos’era quel bip-bip intermittente che si faceva sentire e si zittiva. Poi l’illuminazione, ricordando gli articoli che avevo letto dal barbiere su Bici Sport: era l’allarme del cardiofrequenzimetro. Ho pensato: tra un po’ gli viene un infarto, gli sta bene. Ma invece di rallentare, al suono del bip-bip lui accelerava perché in realtà era il segnale che non stava faticando abbastanza. Andava a spasso. Troppo per me: quando una Cinquecento riconosce una Ferrari cede il passo. Ad andatura lenta siamo arrivati al Bicigrill di Nomi - io e P. - consolandoci l’un l’altro: è gente che va in bici tutte le mattine, non hanno altro da fare, tipi che lavorano sei ore al giorno, non hanno mica i figli da portare all’asilo, magari fanno gare, sicuramente sono dopati. Già, con la condanna per doping abbiamo chiuso il caso ordinando un te’ al limone perché noi siamo gente che al fisico ci tiene.
Solo cinque minuti dopo, quando è suonato ancora quel bip-bip, ci siamo resi conto che nel tavolo accanto c’erano loro, i due campioni. Ne ho riconosciuto uno dal polpaccio secco e lucido: stavano lì a bere due bicchieri di vino bianco ghiacciato (loro), con i capelli bianchi. Due vecchietti. Si sono alzati per tornare a Trento e ci hanno fatto un cenno come per chiedere se volevamo un altro “passaggio”. No grazie, abbiamo risposto, ci riproviamo il mese prossimo.
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