La battaglia del termostato
Cari lettori, corro il rischio di passare per presuntuoso ma non riesco a trattenermi e dico: "Avevo ragione io". Sono anni che sbotto, ogni volta che entro in casa e mi tolgo il giaccone già sudato: "Qui dentro si scoppia, è troppo caldo, siete pazzi, spegnete quella caldaia
maledetta". Ora, finalmente, c'è uno che mi dà corda e mi consegna per decreto l'asso nella manica che mi farà vincere la battaglia del termostato. Quel tale è nientemeno che il ministro che ha ordinato di abbassare di un grado la temperatura negli edifici, preoccupato per gli ucraini che rubano il gas e i russi che chiudono i rubinetti. Io sono pronto, da mercoledì prossimo scatta il ribasso e se qualcuno in casa crede di continuare come prima è avvisato: lo denuncio.
So già cosa pensate ed è bene chiarirci subito: non è questione di soldi. In un anno il nostro contatore segna 600 metri cubi al massimo (se non ci credete vi faccio vedere le bollette) grazie alla stufa a legna, al tetto ben isolato e a quelli di sotto che ci danno dentro come i fuochisti del Titanic. Il fatto è che quei 600 metri cubi mi fanno comunque impressione: son lì sul divano con la bolletta in mano e penso a un edificio largo dieci metri per dieci e alto sei, insomma una casetta a due piani, tutta piena del mio gas. Poi aggiungo i consumi dei vicini di casa e ottengo un palazzo intero stipato di metano, la nostra piazzetta come cisterna avrebbe bisogno del castello del Buonconsiglio, calcolo il fabbisogno di una città e mi immagino un serbatoio grande come il Bondone. Allora mi agito per le sorti del mondo. Qualcosa bisogna pur fare. E io faccio finta di andare in bagno solo per passare fischiettando davanti a quel termostato e allungare la mano per abbassarlo almeno un po'. Poi tiro l'acqua (giusto per essere credibile), esco, controllo con la coda dell'occhio e lui è di nuovo lì, fermo sui venti: "Fa freddo" mi dicono quei due sabotatori, seduti sul divano sotto un piumino spesso un metro, tanto caldo che lì sotto potrebbe sbocciare un oleandro. Sarebbero pronti a riaprire la centrale di Chernobyl pur di crogiolarsi al caldo. La caldaia riparte - con quel clic orrendo e poi, sbanf, la fiammata - e io penso alle caverne immense che restano vuote nel sottosuolo della Siberia mentre noi di Trento bruciamo 2 milioni di metri cubi al giorno. Dalla finestra osservo i camini che sui tetti sbuffano come ciminiere industriali (viviamo in alto e ho imparato a conoscere gli inquilini dai comignoli) chiamo il mio amico ingegnere e mi faccio spiegare che è tutta questione di pressione, che non devo immaginarmi palazzi interi zeppi di gas perché il metano quando è compresso occupa poco spazio e che se i russi non ci boicottano andiamo avanti per decenni, ce n'è più del petrolio. Sarà.
Quando mi avvio verso il centro passo sul ponte di San Lorenzo e sento il solito puzzo di gas vicino a un raccordo - qualcuno la vuole chiudere quella falla? - alzo gli occhi verso un palazzo di sette piani e al terzo vedo le finestre socchiuse: c'è una vittima del riscaldamento centrale che muore dal caldo. Entro nel supermercato e quando la porta scorrevole si apre un soffio tropicale mi investe dall'alto. Caldo, caldo, caldo: ma che c'entrano i venti gradi con l'inverno? In questa crociata verso la sostenibilità del fresco avevo - prima ancora del ministro - un alleato. Uno che ha montato un termostato pieno di bottoni, tanto complicato che senza le istruzioni (che lui tiene sotto chiave) è impossibile metterci mano. Ma è stato sconfitto dagli ospiti (soprattutto le donne, diciamolo) che invitati a cena si mettevano in camicia e si strusciavano contro i termosifoni. Tiepidi.
Grazie ministro. Per merito suo vinceremo per legge la battaglia domestica dei termostati. Quella del risparmio e della sostenibilità ambientale invece no perché - c'è da scommetterci - nulla (certo non una norma dello Stato di cui gli italiani si fanno beffe) potrà indurre la maggioranza dei cittadini a combattere il freddo semplicemente indossando un maglione. E già penso all'estate quando negli uffici ci sarà chi sentendosi potente, girerà la manopola del condizionatore fino ai 18 - più freddo che in inverno - e adagiandosi sullo schienale con un bel sorriso soddisfatto dirà: "Ah, che bel fresco".
maledetta". Ora, finalmente, c'è uno che mi dà corda e mi consegna per decreto l'asso nella manica che mi farà vincere la battaglia del termostato. Quel tale è nientemeno che il ministro che ha ordinato di abbassare di un grado la temperatura negli edifici, preoccupato per gli ucraini che rubano il gas e i russi che chiudono i rubinetti. Io sono pronto, da mercoledì prossimo scatta il ribasso e se qualcuno in casa crede di continuare come prima è avvisato: lo denuncio.
So già cosa pensate ed è bene chiarirci subito: non è questione di soldi. In un anno il nostro contatore segna 600 metri cubi al massimo (se non ci credete vi faccio vedere le bollette) grazie alla stufa a legna, al tetto ben isolato e a quelli di sotto che ci danno dentro come i fuochisti del Titanic. Il fatto è che quei 600 metri cubi mi fanno comunque impressione: son lì sul divano con la bolletta in mano e penso a un edificio largo dieci metri per dieci e alto sei, insomma una casetta a due piani, tutta piena del mio gas. Poi aggiungo i consumi dei vicini di casa e ottengo un palazzo intero stipato di metano, la nostra piazzetta come cisterna avrebbe bisogno del castello del Buonconsiglio, calcolo il fabbisogno di una città e mi immagino un serbatoio grande come il Bondone. Allora mi agito per le sorti del mondo. Qualcosa bisogna pur fare. E io faccio finta di andare in bagno solo per passare fischiettando davanti a quel termostato e allungare la mano per abbassarlo almeno un po'. Poi tiro l'acqua (giusto per essere credibile), esco, controllo con la coda dell'occhio e lui è di nuovo lì, fermo sui venti: "Fa freddo" mi dicono quei due sabotatori, seduti sul divano sotto un piumino spesso un metro, tanto caldo che lì sotto potrebbe sbocciare un oleandro. Sarebbero pronti a riaprire la centrale di Chernobyl pur di crogiolarsi al caldo. La caldaia riparte - con quel clic orrendo e poi, sbanf, la fiammata - e io penso alle caverne immense che restano vuote nel sottosuolo della Siberia mentre noi di Trento bruciamo 2 milioni di metri cubi al giorno. Dalla finestra osservo i camini che sui tetti sbuffano come ciminiere industriali (viviamo in alto e ho imparato a conoscere gli inquilini dai comignoli) chiamo il mio amico ingegnere e mi faccio spiegare che è tutta questione di pressione, che non devo immaginarmi palazzi interi zeppi di gas perché il metano quando è compresso occupa poco spazio e che se i russi non ci boicottano andiamo avanti per decenni, ce n'è più del petrolio. Sarà.
Quando mi avvio verso il centro passo sul ponte di San Lorenzo e sento il solito puzzo di gas vicino a un raccordo - qualcuno la vuole chiudere quella falla? - alzo gli occhi verso un palazzo di sette piani e al terzo vedo le finestre socchiuse: c'è una vittima del riscaldamento centrale che muore dal caldo. Entro nel supermercato e quando la porta scorrevole si apre un soffio tropicale mi investe dall'alto. Caldo, caldo, caldo: ma che c'entrano i venti gradi con l'inverno? In questa crociata verso la sostenibilità del fresco avevo - prima ancora del ministro - un alleato. Uno che ha montato un termostato pieno di bottoni, tanto complicato che senza le istruzioni (che lui tiene sotto chiave) è impossibile metterci mano. Ma è stato sconfitto dagli ospiti (soprattutto le donne, diciamolo) che invitati a cena si mettevano in camicia e si strusciavano contro i termosifoni. Tiepidi.
Grazie ministro. Per merito suo vinceremo per legge la battaglia domestica dei termostati. Quella del risparmio e della sostenibilità ambientale invece no perché - c'è da scommetterci - nulla (certo non una norma dello Stato di cui gli italiani si fanno beffe) potrà indurre la maggioranza dei cittadini a combattere il freddo semplicemente indossando un maglione. E già penso all'estate quando negli uffici ci sarà chi sentendosi potente, girerà la manopola del condizionatore fino ai 18 - più freddo che in inverno - e adagiandosi sullo schienale con un bel sorriso soddisfatto dirà: "Ah, che bel fresco".
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