Ho nostalgia della mia ex
L'altro giorno in via Brennero ho rivisto la mia ex. Non l'ultima, la penultima: quella che non ho mai dimenticato. In una città piccola come Trento sono cose che capitano e vanno messe in conto. Si può andare a spasso tranquilli per settimane, mesi, anche per anni. Si lascia che il tempo faccia il suo lavoro, ci si illude che il passato sia passato e poi ci si sorprende, un giorno, a riflettere che a quella non ci pensavi proprio più, nemmeno un lampo, un debole ricordo, un'impressione, niente, tutto finito. E invece - zac - eccola lì con il potere, ora come allora, di stringerti lo stomaco e lasciarti senza fiato.
Maledetta.
E passata via veloce mentre pedalavo sulla ciclabile (la riconoscerei fra mille) e si è allontanata verso la città. Primavera, cielo terso, aria ossigenata e senza polveri, sole che scalda le braccia nude ma non morde: una di quelle giornate che favoriscono certe nostalgie.
Senza pensarci ho spinto forte sui pedali per non darle troppo vantaggio, sperando di non vederla scomparire via nel traffico. Alla curva di via Ambrosi era venti metri avanti, disciplinata nella colonna d'auto, bella come allora - almeno agli occhi miei - come se cinque anni fossero passati senza traccia.
Ero stato io a lasciarla perché in lei non avevo più fiducia. Accadde in Austria, durante una vacanza, quando mi piantò in asso senza spiegazioni. Tornai a casa solo e giunto a Trento dissi basta: come te ce ne son tante, chiusa una porta si apre un portone, morto un papa se ne fa un altro e con la speranza di chi pianta un chiodo per scacciare il chiodo vecchio le trovai una sostituta.
Si sa come vanno queste cose: il lavoro, il matrimonio, i figli, pensavo ormai di averla dimenticata finché l'altro giorno mi è comparsa davanti nella via.
In piazza Centa ha accelerato verso la stazione e io dietro col fiatone determinato a non farmela scappare. In via Segantini il semaforo l'ha trattenuta per un attimo e ho recuperato qualche metro, poi ha ripreso a correre verso il centro, via Torre Vanga, via Prepositura e via Rosmini, proprio sotto la facoltà di Sociologia. E lì che l'ho raggiunta tenendomi a distanza con il timore, per l'affanno della corsa e la camicia sudata, di fare la figura dello stupido.
Quando l'uomo che era con lei si è allontanato mi sono fatto sotto, da dietro, e non ho resistito alla tentazione di salirci sopra un'altra volta. Me la ricordavo proprio così: il manubrio largo, il contachilometri rotondo, il serbatoio bianco, la sella arancione e i due grossi cilindri che escono dai lati. La mia vecchia moto: chi l'ha mai dimenticata?
Ero ancora in sella quando quello è tornato e mi ha detto: ehi che fai? Gliel'ho spiegato e - superata un po' di diffidenza - si è messo a ridere. Abbiamo discusso di quella strana vibrazione a bassi giri, di consumi, prestazioni, di partenze a freddo e di come abbia risolto quel problema alla forcella. Tutto sommato era stata fortunata.
Alla fine il nuovo padrone ha tirato fuori le chiavi e mi ha detto: tieni, vai a farti un giro. Gli ho risposto che, no grazie, bastava così: troppe emozioni. Ma se voleva poteva farmi un favore. Risposta: se posso, perché no? E allora gli ho detto: quando vedi uno che anche se è freddo va in automobile con finestrino aperto, il braccio fuori e la testa a prendere il vento, e magari quando lo incroci alza le due dita e ti fa i fari, quello sono io. Se ti va rendimi il saluto perché noi ex, anche quando siamo rinchiusi in una quattro ruote, costretti dietro a un parabrezza col volante al posto del manubrio, spesso intrappolati in una coda interminabile, con un po' di immaginazione facciamo ancora le curve sfiorando l'asfalto col ginocchio.
Maledetta.
E passata via veloce mentre pedalavo sulla ciclabile (la riconoscerei fra mille) e si è allontanata verso la città. Primavera, cielo terso, aria ossigenata e senza polveri, sole che scalda le braccia nude ma non morde: una di quelle giornate che favoriscono certe nostalgie.
Senza pensarci ho spinto forte sui pedali per non darle troppo vantaggio, sperando di non vederla scomparire via nel traffico. Alla curva di via Ambrosi era venti metri avanti, disciplinata nella colonna d'auto, bella come allora - almeno agli occhi miei - come se cinque anni fossero passati senza traccia.
Ero stato io a lasciarla perché in lei non avevo più fiducia. Accadde in Austria, durante una vacanza, quando mi piantò in asso senza spiegazioni. Tornai a casa solo e giunto a Trento dissi basta: come te ce ne son tante, chiusa una porta si apre un portone, morto un papa se ne fa un altro e con la speranza di chi pianta un chiodo per scacciare il chiodo vecchio le trovai una sostituta.
Si sa come vanno queste cose: il lavoro, il matrimonio, i figli, pensavo ormai di averla dimenticata finché l'altro giorno mi è comparsa davanti nella via.
In piazza Centa ha accelerato verso la stazione e io dietro col fiatone determinato a non farmela scappare. In via Segantini il semaforo l'ha trattenuta per un attimo e ho recuperato qualche metro, poi ha ripreso a correre verso il centro, via Torre Vanga, via Prepositura e via Rosmini, proprio sotto la facoltà di Sociologia. E lì che l'ho raggiunta tenendomi a distanza con il timore, per l'affanno della corsa e la camicia sudata, di fare la figura dello stupido.
Quando l'uomo che era con lei si è allontanato mi sono fatto sotto, da dietro, e non ho resistito alla tentazione di salirci sopra un'altra volta. Me la ricordavo proprio così: il manubrio largo, il contachilometri rotondo, il serbatoio bianco, la sella arancione e i due grossi cilindri che escono dai lati. La mia vecchia moto: chi l'ha mai dimenticata?
Ero ancora in sella quando quello è tornato e mi ha detto: ehi che fai? Gliel'ho spiegato e - superata un po' di diffidenza - si è messo a ridere. Abbiamo discusso di quella strana vibrazione a bassi giri, di consumi, prestazioni, di partenze a freddo e di come abbia risolto quel problema alla forcella. Tutto sommato era stata fortunata.
Alla fine il nuovo padrone ha tirato fuori le chiavi e mi ha detto: tieni, vai a farti un giro. Gli ho risposto che, no grazie, bastava così: troppe emozioni. Ma se voleva poteva farmi un favore. Risposta: se posso, perché no? E allora gli ho detto: quando vedi uno che anche se è freddo va in automobile con finestrino aperto, il braccio fuori e la testa a prendere il vento, e magari quando lo incroci alza le due dita e ti fa i fari, quello sono io. Se ti va rendimi il saluto perché noi ex, anche quando siamo rinchiusi in una quattro ruote, costretti dietro a un parabrezza col volante al posto del manubrio, spesso intrappolati in una coda interminabile, con un po' di immaginazione facciamo ancora le curve sfiorando l'asfalto col ginocchio.
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