fuoridalpalazzo

26 aprile 2007

Il braccio della legge

poliziaQuesta foto è stata scattata alla stazione di Trento sabato scorso, dove erano attesi centinaia di Disobbedienti per una manifestazione di protesta. Mentre premevo il pulsante del telefonino mi chiedevo: ma cosa sta pensando quel poliziotto gigantesco? Una risposta non ce l'ho, ma cosa pensa un poliziotto di dimensioni più normali (e dall'aspetto meno cattivo) quando deve mettersi il casco e scendere in strada lo potete leggere sul suo blog.

P.S. una bella galleria della manifestazione è quella di Fabrizio Gravantes.

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25 aprile 2007

Quand'ero famoso

Si è discusso in questo blog se io sia un giornalista famoso e se abbia il diritto di tirarmela - come le star - evitando di rispondere ai commenti e alle email che mi arrivano a migliaia ogni mattina (sic!). Ebbene, sciolgo ogni riserva e confesso: sono famoso, anzi famosissimo, oseri dire celebre, il mio volto è noto al grande pubblico al punto che non posso passeggiare per la strada senza che qualcuno mi riconosca e mi fermi per chiedermi "scusi, ma lei non è il giudice delle veline?".
Accadeva nel 2002 quando Antonio Ricci arrivò ad Andalo per una puntata del programma Veline e il mio giornale mandò me sul palco a votare le ragazze di Striscia la Notizia. Scelta azzeccata, la mia, anche perché tutti gli altri colleghi interpellati in anticipo avevano detto "no grazie". Restavo solo io. Così mi ritrovai sul palco assieme all'amico S., spedito dall'altro giornale all'ultimo momento. Strana coppia - io e S. - cronisti collaudati nelle aule di giustizia e sui luoghi del delitto ma pesci fuor d'acqua su un set televisivo circondati da modelle, tanto che Ricci, quando ci vide, puntò dritto verso di noi e disse due cose: "Primo copritevi quelle camicie che il bianco in televisione spara, secondo vedete di non fare gli stronzi benpensanti di sinistra mettendovi a votare le racchie perché a Striscia la Notizia abbiamo bisogno di due fighe". Sarà stata la collanina etnica di S. (che all'epoca non aveva ancora l'orecchino) o i miei occhialini da intellettuale (che sono sempre quelli da dieci anni) ma Ricci di due come noi (scesi da una Fiat Uno bianca e scassata) non si fidava. E faceva bene. Fu al terzo o quarto giro di veline - chi se lo ricorda più - che sul palco arrivò una mora pazzesca e il pubblico andò in delirio. Ma io e S. siamo tipi difficili: lui in fatto di donne è un perfezionista e a me più che le more piacciono le bionde. Comunque, quand'arrivò il momento di votare Ricci - che già sorrideva sornione dietro le quinte perché finalmente aveva trovato la ragazza giusta - diventò bianco in volto e poi furioso: signore e signori avevamo fatto fuori Giorgia Palmas. Se poi l'autunno successivo, nonostante la nostra stroncatura, l'avete vista a Striscia la Notizia è perché si sono inventati un meccanismo di ripescaggio per rimediare ai disastri provocati da giudici inflessibili come noi.
Quello che non mi aspettavo era la fama regalata dal passaggio televisivo: la barista mi chiese per settimane com'erano le veline viste dal vicino, arrivarono messaggi da amici che non sentivo da anni, gli operai che all'epoca mi ristrutturavano la casa (e mi trattavano con disprezzo perché non ero in grado di piantare un chiodo) dimostrarono grande considerazione per il giudice televisivo. Insomma fui famoso, molto più di quanto possa sperare di diventarlo un onesto cittadino che si rimbocca le maniche per una vita: potere della televisione dove però quelli che stroncano donne come Giorgia Palmas non hanno vita lunga. Per fortuna.

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23 aprile 2007

Il processo all'autonomia trentina

Dell'autonomia speciale del Trentino s'è detto tanto e scritto molto, ma c'è un aspetto del problema su cui sono un vero esperto poiché - per motivi personali - batto più volte alla settimana la strada di confine con il Veneto: vorrei quindi raccontare l'autonomia vista dall'uomo della strada e quel senso di sconfitta che prova un trentino quando incalzato dai veneti, nel caso specifico i bellunesi, deve giustificare i privilegi di cui gode durante un processo settimanale che si celebra la domenica di fronte a un piatto di polenta.
Storia lunga, quella dei privilegi contestati, che comincia quando i cugini veneti per imparare a nuotare si gettavano nelle pozze del torrente o chiedevano a prestito le piscinette a qualche raro albergatore mentre in Trentino era stata inaugurata una piscina niente meno che a Revò (1.200 abitanti).
E poi le scuole, con gli studenti veneti che ascoltavano increduli le storie di scuolabus speciali mentre loro si organizzavano in gruppi di passeggeri per andare a scuola in taxi (esatto: taxi). Quindi, una volta in aula, i ragazzi trentini delle elementari e delle medie trovavano una pila di libri di testo pronti per l'uso. Gratis. Parola ben più diffusa da questa parte del confine.
A volte sono le piccole cose che li fanno più arrabbiare, i veneti, come le immagini televisive che riprendono pareti dolomitiche e piste innevate e la solita scritta in sovrimpressione: Trentino. Vaglielo a spiegare che in Veneto c'è una sola sede Rai per quattro milioni e mezzo di abitanti (a Venezia) mentre Trento e Bolzano ne hanno una a testa e in totale non arrivano a un milione di cittadini. Impossibile trovare una scusa per giustificare la pubblicità del turismo Trentino che spunta ovunque mentre per il Veneto (almeno quello di montagna) non c'è nulla: avete mai visto in giro una pubblicità di Cortina?
Certo ci sono dei disagi a cui i trentini vanno incontro, questioni burocratiche con cui devono fare i conti almeno una volta nella vita e due parole che ricorrono molto spesso a differenza che altrove: graduatoria e contributi. Mai dimenticare di mettersi in lista per il mutuo provinciale prima ancora di finire le scuole, quando il reddito è pari a zero. Per ogni progetto verificare se è previsto il relativo contributo (quasi sicuramente è così e se non lo trovate guardate meglio). Se fate parte di un'associazione ricordatevi che la Regione (prima ancora della Provincia) sarà lieta di ascoltare i vostri bisogni economici e provvedere di conseguenza. Se parlate cimbro o ladino fatene un vanto: sarete ricompensati. Avete pubblicato un libro in queste lingue e non trovate lettori? Sarà più venduto di qualunque altra opera di pari valore: comprerà tutte le copie l'ente pubblico. Mettete i pannelli solari sul tetto: paga la Provincia. Idem per l'auto da trasformare a metano e addirittura per i corsi di formazione. Di questo non ho certezza, ma durante uno di quei pranzi oltre confine qualcuno ha giustificato con i contributi anche la quantità di fiori sui balconi degli alberghi. Quante cose bisogna sapere per essere buoni trentini.
Un giorno - parliamo ormai di un paio d'anni fa - su quella strada di confine sono comparse le bandiere come se non si capisse già bene la differenza tra il «qui» e il «là». E' stato un grave errore, un atto da gradassi, uno schiaffo, una provocazione, perché da quando vedono l'aquila della Provincia anche sui passi dolomitici i veneti di Belluno non riescono più a dimenticare tutte le differenze a cui sono stati abituati fin da bambini.
Mettetevi nei loro panni: l'Italia è lunga e loro - per una manciata di chilometri - sono tagliati fuori dal bengodi. Inoltre per me quelle bandiere - di cui ho già scritto sul giornale - sono state un gravo danno personale. Un motivo in più per guastarmi la polenta domenicale durante il processo dei privilegi in cui - lo confesso - ho quasi terminato gli argomenti difensivi. Ogni suggerimento è bene accetto.

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20 aprile 2007

Due gocce d'acqua

Nei commenti al post senso di colpa si è parlato di fratelli e di come i maggiori si sentano responsabili dei minori e poi - per deformazione professionale - del mondo intero. E' giunto quindi il momento di presentare qui fuoridalpalazzo mio fratello, ossia the brother, quell'essere a me tanto uguale che in giro per la strada ci scambiavano l'un per l'altro, almeno finché non si è fatto crescere i capelli.
Mettiamola così: avere un fratello, se non altro, è meglio che non averlo. Se non ci credete chiedetelo ai figli unici. Vuol dire avere una persona con cui guardare in silenzio un film per un'ora e mezzo e poi dire involontariamente la stessa frase durante la stessa scena. Significa avere uno a cui chiedere che cosa accadde esattamente in quel giorno d'infanzia che vi è tornato in mente (lui c'era e se lo ricorderà), uno con cui dividere per due il peso delle giornate cupe familiari.
Per me avere un fratello è di gran lunga meglio che avere una sorella. Non chiedetemi perché, parlo di cose che non so ma temo che non sarei mai riuscito a convincere una ragazza ad entrare all'obitorio e sdraiarsi sul tavolo di metallo delle autopsie per scattare una fotografia mentre la viviseziono. Sarebbe stato difficile anche persuadere la sorella che non ho mai avuto a salire sulla vecchia Ducati del nonno - da noi rimessa in sesto - per correre a cento all'ora a fari spenti con gli scoppi del motore che squarciavano la notte. C'è poco gusto, infine, nel pestare a sangue una femminuccia.
Dei due lui è quello che gira il mondo mentre io sto fermo, così almeno gli resta un posto dove tornare: a ognuno il suo ruolo. Di tanto in tanto - essendo io il maggiore - mi viene quell'inquietudine di dover andare a prenderlo chissà dove, ma finora non è mai accaduto.
Mio fratello è figlio unico, dico talvolta citando Rino Gaetano (e se qualcuno mi spiega per bene cosa vuol dire questa frase che mi affascina gliene sarò grato a lungo) eppure siamo così uniti che le mie morose di lui erano gelose (le sue però non mi risulta).
Basta chiacchiere, in questo post manca la fotografia e allora a grande richiesta ecco a voi un ritratto di noi fratelli, ansel e the brother, insomma due gocce d'acqua: giudicate voi.

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19 aprile 2007

Trova il collegamento

prima pagina TrentinoCaro lettore di questo blog, guarda la prima pagina nella foto qui sopra. Se ti sembra piccola cliccaci sopra e ingrandiscila. Guardala bene e per un milione di euro rispondi: qual è l'elemento che ha in comune con questo blog? Domanda facilissima che ti impegnerà per pochi secondi appena. Quindi, se ti va, puoi leggere questa pagina di giornale dove le mie scarpe spuntano in altre due foto.

P.S.: chi vuole sapere qualcosa in più su piazza Dante a Trento può dare un'occhiata a questo video (è richiesta una minima competenza di dialetto trentino...)

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16 aprile 2007

L'amore sotto chiave

luchetto sul ponte di San Lorenzo a TrentoChissà se Fabry e Francy stanno ancora assieme, ma penso di sì perché ogni mattina vedo quel lucchetto che hanno agganciato al ponte di San Lorenzo per dichiarare alla città (al mondo?) che le loro vite sono unite. Sono arrivati lì, hanno preso la catena della bicicletta, le hanno fatto fare un giro attorno al palo, hanno chiuso il lucchetto e hanno gettato la chiave nell'Adige perché nessuno possa togliere il loro sigillo. C'è una scrittura femminile su quel lucchetto, con quei cuori tondi e le lettere gonfiate che sanno fare solo le donne, come se fosse stata lei – Francy o Fabry, con questi nomi abbreviati non si può mai dire – a voler mettere sotto chiave questo amore. Speriamo che lui abbia tenuto in tasca la chiave di riserva.
Strano modo, la serratura, per proteggere un sentimento, come se fosse l'ultima spiaggia prima di vederlo scappare via, con il metallo promosso a cassaforte dell'amore nel ruolo che dovrebbe essere della fiducia. Ma la sicurezza di un lucchetto sembra piacere a molte coppie, fra cui Francy e Fabry (comunque i primi in città) sono solo gli ultimi arrivati.
L'usanza di lucchettare i ponti nasce da una razza ormai estinta che con le coppiette non c'entrava nulla, cioè i militari di leva (volgarmente i najoni) che per protestare contro le catene del servizio militare – pare preistoria, ma fino all'altro ieri era obbligatorio – attaccavano un lucchetto e lo toglievano solo l'ultimo giorno prima di tornare a casa. A Merano – giusto per non andare troppo lontano – le ringhiere del Passirio sono ricoperte di metallo. Poi i lucchetti hanno preso tutt'altro significato e per trovarne altri basta andare a Firenze sul ponte Vecchio e infine a Roma, sul ponte Milvio, dove un lampione è stato ricoperto da quintali di ferro tanto che proprio l'altro giorno si è schiantato al suolo, segno che nemmeno l'amore può resistere quando è soffocato da tanta attenzione. Il titolare della ferramenta all'angolo – quello che è diventato ricco – sorrideva sotto i baffi. Tutta colpa di Federico Moccia, lo scrittore che ha diffuso il culto dell'amore sotto chiave tra i giovanissimi, quello del libro Tre metri sopra il cielo (abbreviazione 3msc, cioè la scritta che potete leggere sul muro di fronte al collegio Arcivescovile) e che ha ammesso in televisione il suo peccato originale: il primo lucchetto sul ponte Milvio l'ha attaccato lui perché il suo libro sembrasse più vero. E via tutti i lettori al seguito.
Fabry e Francy – i due trentini con il cuoricino sul lucchetto e la chiave in fondo al fiume – si inseriscono nell'eterna tradizione di dichiarare agli altri il proprio amore, documentata anche da Flavio Faganello che ha girato il Trentino alla ricerca di alberi su cui gli innamorati avevano inciso le proprie iniziali. Di scritte del genere sono piene le panchine più appartate dei parchi, i bagni dei licei, le ringhiere di legno che si affacciano sui panorami più belli. Ma con il lucchetto si vuol dire qualcosa in più: nessuno ci porterà via quello che abbiamo. Né più mai. Quasi mi ero convinto anch'io, camminando sul ponte di San Lorenzo verso Piedicastello, finché giunto in piazzetta ho guardato il posto vuoto dove fino all'altro giorno c'era la mia bici. Ora io sono un tipo sbadato, ma la bici l'avevo lasciata proprio lì, di questo ne ero certo, anche perché a terra era rimasta la catena che la legava al palo: spezzata in due. Occhio ragazzi, voi che credete di poter mettere sotto chiave le cose che veramente valgono: anche se li chiudete col lucchetto i vostri sogni – se non ci state attenti – ve li portano via lo stesso.

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12 aprile 2007

Trentino Venezia Giulia

friuli venezia adigeFra Trento e Trieste c'è di mezzo il Veneto e 311 chilometri eppure c'è ancora chi fa confusione. In dicembre era stato un telegiornale ora è toccato alle Ferrovie dello Stato che hanno realizzato un fantastico cartello dove il Friuli Venezia Giulia è al posto del Trentino: non si sono accontentati di scambiare le due città, si sono superati e hanno confuso due regioni intere in una campagna pubblicitaria affissa nelle principali stazioni italiane. Comunque se passate dalle parti di Trento venitemi a trovare: abito vicino al porto, proprio al confine con la Svizzera, non potete sbagliare. Vi aspetto.

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11 aprile 2007

Deserti

desertiHo visto la foto con la motoslitta sul blog di Bersntol e non ho saputo resistere.

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04 aprile 2007

Jurka: non venitemi a trovare

in visita a Jurka
Da quando ho ospitato qui fuoridalpalazzo un intervento dell'orsa Jurka dopo che era andata a sciare a Campiglio, siamo rimasti in contatto. Così mi ha fatto sapere cosa pensa degli ultimi avvenimenti.

Jurka: sta succedendo quello che più temevo: vogliono chiudermi in un recinto. Mettetevi nei miei panni: ho appena compiuto nove anni e me ne restano altri venti da vivere al chiuso, forse venticinque, insomma un'eternità, in un posto che per le mie abitudini nel giro di pochi giorni diventerà una gabbia insopportabile. So che volevano uccidermi e forse sarebbe stato meglio. Con il radiocollare che mi hanno appeso al collo sanno dove sono in ogni momento, potevano venire a prendermi e farla finita subito. Bum. Chi mi vuole bene e mi ha seguito per mesi da una valle all'altra, sparandomi contro i proiettili di gomma per spaventarmi e tenermi alla larga dai paesi e dalla malghe, sa che il posto giusto per me non è dietro uno steccato.
Ho visto il vostro presidente alla televisione e mi ha colpito quando ha detto che io non sono "compatibile" con la comunità. Siamo d'accordo: anche noi animali pensiamo molto spesso che voi umani non siete compatibili con la natura, ma lasciamo correre perché siete voi stessi - volontariamente - a rinchiudervi in quei brutti recinti a cui date il nome di città. Ma anche da lì riuscite a fare danni, non vi illudete. Quel presidente ha assicurato che avrò salva la vita: grazie tante, ma io so che di me gli importa poco, per lui sono un problema che ha ereditato dal suo predecessore, però non può rimangiarsi quello che disse l'anno scorso quando in Germania uccisero senza tanti complimenti il mio povero figlio Bruno, il piccolo JJ1, quel lazzarone la cui unica colpa è stata mettere in pratica quello che io gli avevo insegnato. Salvano me per salvare la faccia e il progetto orso. Va bene, mi sacrificherò per tutti.
La mia storia è quella dell'orso. Fino a cent'anni fa eravamo migliaia sulle Alpi poi è cominciata la persecuzione: ci avete fatto la guerra finché nel gruppo di Brenta sono rimasti tre o quattro orsi, quasi invisibili perché hanno capito che dagli uomini era meglio girare al largo. Ci sono ancora in giro quelle foto in bianco e nero in cui si vedono i cacciatori con i baffi a punta e il fucile in mano mentre mostrano orgogliosi la pelle dell'orso morto. Poi siamo arrivati noi - dalla Slovenia - perché si è capito che l'orso all'ombra delle Dolomiti era cosa buona. Ma io ho rovinato la festa: mi piace trovare la pappa pronta, me l'avete insegnato voi, ora non so più rinunciarvi.
Il mio recinto è quasi pronto, che tristezza. Non dico che siamo tornati indietro di un secolo - perché sarebbe una grande falsità - ma non riesco a togliermi dalla mente l'orrendo pensiero di quella buca di cemento che a Sardagna, fino a pochi anni fa, ospitava un paio d'orsi. Oppure la gabbia tremenda in cui vivevano i miei poveri colleghi nel parco di Gocciadoro, quelli che passavano la giornata ciondolando la testa mentre i bambini lanciavano il cibo dalle sbarre. Terribile vero? Eppure queste cose le avete fatte voi. E poi vi stupite se gli orsi prigionieri non mettono al mondo i cuccioli oppure li abbandonano per non vederli crescere al chiuso com'è successo al piccolo Knut dello zoo di Berlino. Ho saputo anche che ci sono due colleghi in uno zoo thailandese che non ne vogliono sapere di riprodursi. Li chiamo colleghi anche se sono Panda perché sempre di orsi si tratta. Ebbene, per convincerli ad accoppiarsi hanno preso il maschio e gli mostrano i film porno dove si vedono gli orsi liberi che fanno l'amore nella foresta. Diciamo le cose come stanno: è una tortura. Non provate a fare la stessa cosa con me quando sarò nel recinto perché diventerò cattiva come non mi avete visto mai. Al progetto orso ho dato molto: prima due cuccioli (e uno me l'hanno ucciso i tedeschi), poi altri tre che in tutto fanno cinque. Non è poco, pensateci voi umani che già dopo il primo cucciolo vi fermate esausti. Direi che può bastare.
E ora approfitto di questo blog - che già ospitò le mie parole nel gennaio scorso, dopo la passeggiata sulle piste da sci di Campiglio - per lanciare due messaggi che tanto mi stanno a cuore. Il primo riguarda me: per favore, signori uomini, quando sarò nel recinto non venite a trovarmi, lasciatemi in pace, non voglio vedere le vostre facce divertite mentre vi godete lo spettacolo di un'orsa sconfitta e umiliata. Tutte le volte che ci siamo incontrati nel bosco o fra le baite vi siete spaventati a morte ed è successo un putiferio: siate coerenti, tenetevi alla larga anche in futuro. Il secondo appello, molto più importante, riguarda i miei cuccioli: nei giorni che mi rimangono cercherò di convincerli a stare alla larga dagli uomini (ora l'ho capito: siete più pericolosi di noi orsi), ma temo che non ci riuscirò perché li ho allevati un po' troppo allegramente. Ora sono grandi e possono cavarsela da soli. Ve li affido. Solo una cosa vi raccomando: se un giorno qualcuno dei miei piccoli mangerà una gallina pensateci due volte prima di metterlo sotto processo. Contro i polli non ho nulla ma in circolazione ce ne sono milioni. Noi orsi, invece - animali fieri, bruni e bianchi, le cui sorti appassionano il mondo intero - siamo rimasti in pochi.

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02 aprile 2007

Ore contate per l'orsa Jurka

orsa jurkaL'orsa Jurka finirà in un recinto. Non la uccideranno perché dopo che la notizia è finita sui giornali (i miei giornali) si sono affrettati a smentire quest'ipotesi estrema, ma negli uffici della Provincia autonoma di Trento ne parlavano eccome. Dai tempi della sfilata con i cuccioli sulle piste di Madonna di Campiglio non sono passati nemmeno tre mesi ma le sue scorribande fanno sempre più paura ai forestali. Non mi dilungo perché sarà lei stessa - Jurka - a dire cosa pensa di questa storia qui fuoridalpalazzo come già fece con questo intervento in esclusiva dopo la sua passeggiata sulle piste da sci. Intanto per chi vuole saperne qualcosa di più per una volta lasciate che citi me stesso e leggete il Trentino o la Repubblica.

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