Appena fuori dalla pista
Lo sci è uno sport complicato. Se non c'è la neve storciamo il naso perché scendere sulla neve artificiale – con le margherite a bordo pista – non è la stessa cosa. Quando nevica storciamo il naso perché non si vede più in là della punta degli sci e le piste non sono lisce come le vorremmo. Così attendiamo per settimane il giorno giusto, con la neve fresca e il sole in cielo. Oggi è quel giorno e per di più è domenica, così ci sveglieremo presto – prima che arrivino i turisti con l'autostrada – e giunti in quota troveremo il parcheggio già mezzo pieno, con quell'odore di smog che i nostri figli hanno imparato a conoscere: scenderanno dall'auto, respireranno l'alito fetido di un pullman cecoslovacco e sorrideranno perché sentiranno che l'aria buona di montagna non è poi così diversa da quella di città.
Quindi ci metteremo in coda allo sportello per acquistare lo skipass magnetico, sapendo che se proveremo a venderlo a metà giornata (come facevamo una volta) rischieremo di trovarci in tribunale. Quando la signorina ci chiederà se vogliamo pagare anche la polizza assicurativa saremo tentati di dire “sì”, ricordandoci di quel tale finito in rovina per aver investito un avvocato rompendogli una gamba. Poi saliremo sugli impianti (seguendo alla lettera il regolamento, altrimenti verremo richiamati all'ordine) e ci ritroveremo in pista attenti a dare la precedenza allo sciatore a valle, rallentando prima degli incroci e fermandoci solo a bordo pista come prevede il decalogo del buon sciatore.
Che nessuno del gruppo provi a dare lezioni al collega d'ufficio perché qualche maestro potrebbe vederlo e denunciarlo per esercizio abusivo della professione. Incontreremo i cartelli che ci vieteranno di scendere fuori pista e anche volendo sarebbe difficile proseguire oltre perché ci sono reti rosse dappertutto e saremo terrorizzati solo all'idea di affondare lo scarpone nella neve vergine (dove non è nemmeno passato un gatto delle nevi!) senza avere l'Arva nella tasca della giacca e una pala piegabile infilata nello zaino. Ogni tanto qualcuno alzerà lo sguardo verso il cielo e vedrà l'elicottero del pronto soccorso che non smette mai di volare per portare i feriti dalle piste all'ospedale.
A metà giornata – dopo mezz'ora di coda a ginocchia piegate, con le gambe flesse negli scarponi – troveremo buono persino il cibo del self service che ci ricorderà, chissà perché, quello della mensa aziendale. Per consolarci ci concederemo un bombardino sperando di non trovare le forze dell'ordine pronte a misurarci il tasso alcolico con l'etilometro, come volevano fare in Alto Adige. Sempre meglio che a Cortina dove i poliziotti l'anno scorso hanno sperimentato lo skivelox, pronti a dare le multe senza però togliere punti dalla patente.
Usciti dal ristorante da 200 posti cercheremo gli sci nuovi nell'enorme rastrelliera (sperando che non ce li abbiano fregati) e stanchi di attendere fuori dal bagno intasato ci avvieremo ai confini del comprensorio sciistico per trovare un albero libero e fare la pipì. Sarà in quel momento che sentiremo sotto gli sci un rumore nuovo, che la neve battuta non è in grado nemmeno di imitare. Sentiremo farsi più lontani i ronzii delle seggiovie, fino a scomparire, e si farà da parte anche la musica sparata dagli altoparlanti del rifugio. Scopriremo con stupore – dopo aver sciato distrattamente su e giù dalle vette per chilometri – che nel manto immacolato può essere un'impresa ardua anche percorrere cinquanta metri. Ma quando saremo di fronte all'albero prescelto vedremo due tipi strani – un ragazzo e una ragazza – con un paio di ciaspole ai piedi invece degli sci, tanto coraggiosi da avventurarsi sulla neve con un berretto di lana al posto del casco, lasciandosi dietro una fila di larghe impronte che si perdono nel bosco, su un pendio lieve che non induce in tentazione le valanghe. Li guarderemo dividersi un panino seduti l'uno accanto all'altro sulla panchetta di una baita, con il viso rivolto al sole, gli occhi chiusi e le maniche del maglione rimboccati fino al gomito. In quel momento – scordandoci di quello che dovevamo fare in quell'angolo vicino alle piste, ma che sembra un altro mondo - penseremo, forse, che hanno ragione loro.
P.S. notate quante persone fotografate in coda alla seggiovia indossano il casco... quella macchia bianca che si vede in basso, invece, è la punta del mio berretto di lana...
Quindi ci metteremo in coda allo sportello per acquistare lo skipass magnetico, sapendo che se proveremo a venderlo a metà giornata (come facevamo una volta) rischieremo di trovarci in tribunale. Quando la signorina ci chiederà se vogliamo pagare anche la polizza assicurativa saremo tentati di dire “sì”, ricordandoci di quel tale finito in rovina per aver investito un avvocato rompendogli una gamba. Poi saliremo sugli impianti (seguendo alla lettera il regolamento, altrimenti verremo richiamati all'ordine) e ci ritroveremo in pista attenti a dare la precedenza allo sciatore a valle, rallentando prima degli incroci e fermandoci solo a bordo pista come prevede il decalogo del buon sciatore.
Che nessuno del gruppo provi a dare lezioni al collega d'ufficio perché qualche maestro potrebbe vederlo e denunciarlo per esercizio abusivo della professione. Incontreremo i cartelli che ci vieteranno di scendere fuori pista e anche volendo sarebbe difficile proseguire oltre perché ci sono reti rosse dappertutto e saremo terrorizzati solo all'idea di affondare lo scarpone nella neve vergine (dove non è nemmeno passato un gatto delle nevi!) senza avere l'Arva nella tasca della giacca e una pala piegabile infilata nello zaino. Ogni tanto qualcuno alzerà lo sguardo verso il cielo e vedrà l'elicottero del pronto soccorso che non smette mai di volare per portare i feriti dalle piste all'ospedale.
A metà giornata – dopo mezz'ora di coda a ginocchia piegate, con le gambe flesse negli scarponi – troveremo buono persino il cibo del self service che ci ricorderà, chissà perché, quello della mensa aziendale. Per consolarci ci concederemo un bombardino sperando di non trovare le forze dell'ordine pronte a misurarci il tasso alcolico con l'etilometro, come volevano fare in Alto Adige. Sempre meglio che a Cortina dove i poliziotti l'anno scorso hanno sperimentato lo skivelox, pronti a dare le multe senza però togliere punti dalla patente.
Usciti dal ristorante da 200 posti cercheremo gli sci nuovi nell'enorme rastrelliera (sperando che non ce li abbiano fregati) e stanchi di attendere fuori dal bagno intasato ci avvieremo ai confini del comprensorio sciistico per trovare un albero libero e fare la pipì. Sarà in quel momento che sentiremo sotto gli sci un rumore nuovo, che la neve battuta non è in grado nemmeno di imitare. Sentiremo farsi più lontani i ronzii delle seggiovie, fino a scomparire, e si farà da parte anche la musica sparata dagli altoparlanti del rifugio. Scopriremo con stupore – dopo aver sciato distrattamente su e giù dalle vette per chilometri – che nel manto immacolato può essere un'impresa ardua anche percorrere cinquanta metri. Ma quando saremo di fronte all'albero prescelto vedremo due tipi strani – un ragazzo e una ragazza – con un paio di ciaspole ai piedi invece degli sci, tanto coraggiosi da avventurarsi sulla neve con un berretto di lana al posto del casco, lasciandosi dietro una fila di larghe impronte che si perdono nel bosco, su un pendio lieve che non induce in tentazione le valanghe. Li guarderemo dividersi un panino seduti l'uno accanto all'altro sulla panchetta di una baita, con il viso rivolto al sole, gli occhi chiusi e le maniche del maglione rimboccati fino al gomito. In quel momento – scordandoci di quello che dovevamo fare in quell'angolo vicino alle piste, ma che sembra un altro mondo - penseremo, forse, che hanno ragione loro.
P.S. notate quante persone fotografate in coda alla seggiovia indossano il casco... quella macchia bianca che si vede in basso, invece, è la punta del mio berretto di lana...
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